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WATERMAN’S No.7 DEDICATED DESK SET — New York, 1933

Foto e recensioni di Giorgio Fasciolo
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WATERMAN’S No.7 DEDICATED DESK SET — New York, 1933

Messaggio da Musicus »

Solo pochi mesi dopo aver presentato la superba
Waterman’s No.7 “Emerald Ray” Blue nib, 1935
viewtopic.php?t=31049
1. WN7. Posted in the sky.jpg
ho riconosciuto in rete lo stiloforo ad essa dedicato, che avevo così pesantemente criticato nel corso della mia recensione…
2. W7DS. The Desk Set (2).jpg
«Era stato anche sviluppato un calice apposito (molto raro oggi sul mercato), riconoscibile per la decorazione a banda larga, per alloggiare la penna senza un codale avvitabile ma con il cappuccio calzato (!): l’effetto è, a mio avviso, a dir poco dissacrante, poiché rinnega le conquiste di eleganza ed ergonomia raggiunte dalla decennale (all’epoca) evoluzione dello stiloforo. Non ho notizia, invece, di un calice per stiloforo dedicato anche alla Emerald Ray. La discutibilissima soluzione (reinterpretata ai giorni nostri dalla MB 149) non venne applicata ad altre penne della Casa americana… E per fortuna!, io dico, visto l’effetto a dir poco “cheap” della filettatura del fusto che spunta sopra il bordo del calice…». :mrgreen:

Non era propriamente un affare di volpi e grappoli d’uva: infatti, non ho cambiato opinione sulla questione di principio. E tuttavia, con lo strumento completo finalmente a disposizione tra le mani, mi sono fatto un’idea più precisa delle ragioni che avevano portato alla messa in produzione di questo progetto stilisitico, e di quelle che avrebbero condotto al suo repentino abbandono.


Waterman’s No.7 dedicated Desk Set (#501)
Per una introduzione al mondo degli stilofori e alla terminologia impiegata per descriverli, si consulti il capitolo introduttivo della mia recensione al seguente indirizzo: viewtopic.php?t=31664
3. W7DS. Desk Set 1.jpg
La motivazione principale di una soluzione di questo tipo, così inusuale ed estranea alla tradizione (non solo a quella all’epoca meno che decennale delle penne da stiloforo, ma soprattutto a quella allora già più che secolare delle cannucce con pennini da intinzione in metallo) può essere stata quella di fornire (rapidamente) un ecosistema del tutto completo ad una penna top di gamma che al momento della sua immissione sul mercato poteva vantare importanti caratteristiche di innovazione: presentata nel 1933 come una (vice)ammiraglia, elegantissima quanto sobria nel design (del sommo Gabriel Larsen), disponibile solo in nero con finiture metalliche in lamina d’oro, la <Number Seven> era infatti dotata di un “codice dei colori” esplicito (https://www.fountainpen.it/Waterman_Nib_Color_Code) per la scelta e il riconoscimento dei diversi pennini (grazie alla presenza di un dischetto colorato inserito nel fondello cieco e l’iscrizione del “nome del colore” impressa sul pennino), ed era equipaggiata con il rivoluzionario sistema “Tip-Fill” (https://www.fountainpen.it/Tip-Fill) che consentiva l’immersione della sola punta del pennino nell’inchiostro, per un caricamento realmente “pulito”.
La penna con il cappuccio calzato tentava di uniformarsi alla “tradizione” quanto a lunghezza, raggiungendo la più che ragguardevole misura di 16,7 cm, ma non poteva certo insidiare il record delle “penne da tavolo” che veleggiavano intorno ai 20 cm, essendo connotate da estremità volutamente allungate, una delle quali era riconoscibilissima nella sua terminazione affusolata (taper= coda o codale).
Il pubblico interessato all’articolo riconosceva come penne da stiloforo (desk pen) solo quelle munite di codale (poiché garantivano, secondo l’opinione corrente del tempo, una superiore ergonomia per le lunghe sessioni di scrittura), e pur in una nazione non certo ancora ristabilitasi dopo il crollo della Borsa di quattro anni prima, chi nel 1933 poteva permettersi i $10 per lo stiloforo completo di stilografica (di alta gamma) non mostrò di sentire il bisogno di una “finta conversione” di una penna da tasca (pocket pen): fu così che si vendettero ben pochi “calici dedicati” solo alla <No.7>. E ciò è testimoniato indirettamente dalla pressoché inesistente documentazione disponibile riguardo a questo stiloforo sui libri o in rete (pubblicità, recensioni e immagini): si spiega allora perché meno di due anni dopo il lancio avvenuto a metà del 1933, Waterman non perdette tempo a pubblicizzare questa opzione anche per la nuovissima No.7 in livrea “Emerald Ray” (autunno del 1935), che però, il mio caso ne è la prova, si adatta comunque perfettamente al calice originale.

Dal punto di vista squisitamente cromatico, certamente il marmo nero e oro della base, il calice di ebanite nero con fascione dorato e la penna nera e oro del 1933 costituivano un tutto rigorosamente “coerente”; il calice virato al marron da me ritrovato (io non sono un anneritore seriale :lol: di ebaniti, le pulisco a fondo, sì, ma mi piace che conservino una qualche traccia della loro natura materiale e della loro storia…) e la penna in celluloide “ray” verde-nero sul medesimo marmo di base, decisamente un po’ meno (almeno sulla carta, cioè teoricamente e in foto, perché dal vivo è uno splendore). Comunque sia, come da indicazioni della Casa potrei sempre avvitare il calice su qualsiasi altra base, comprese quelle in onice o marmo verdi che non mancano in rete, ma non lo farò di certo.
4. W7DS. Desk Set 2.jpg
In ogni caso, Waterman abbandonò rapidamente la filosofia del suo (per me) bizzarro sistema di una “penna intera, calzata, da inserire di punta nel calice di uno stiloforo”, tornando per tutti i modelli successivi al sistema tradizionale delle “penne da tavolo” (desk pen), dedicate esclusivamente agli stilofori e non “convertibili” in penne da tasca, riconoscibili perché sempre prive della filettatura per il cappuccio e sempre munite di un lungo codale conico: questo chiedeva il pubblico che ancora utilizzava in alcuni contesti le lunghe e filanti cannucce da inzuppo.

Ma i grandi Produttori si guardavano, per non dire si spiavano tra loro: e così, l’anno dopo il lancio di questa soluzione da parte di Waterman (1934), fu Parker ad ispirarsi al concorrente, predisponendo la medesima discutibile soluzione per la sua unica linea di penne con caricamento a levetta (che intercettavano sempre una porzione di mercato tradizionalista che evidentemente faceva gola a tutti i Produttori) con le sue Parkette, semplici e “De Luxe”. L’anno dopo ancora, 1935, ricordo una soluzione analoga proposta da Chilton (anch’essa molto rara, di cui sono in possesso e che recensirò)… per arrivare più di mezzo secolo dopo al ben più noto stiloforo per la Montblanc 149, che però nemmeno più richiede di calzare il cappuccio (anche se non lo escluderei, non avendo ancora potuto consultare i cataloghi degli anni Novanta 8-) ).


Le misure
5. W7DS. #501 marble base with No.7 pen sheath.jpg
Il calice in ebanite
Lunghezza (esclusa filettatura): 5,5 cm
Ø esterno (al labbro):1,6 cm
Peso: 4 g
6. W7DS. #501 marble base with removed No.7 pen sheath.jpg
La base in marmo
Lato corto: 5,7 cm (2 ¼ inches)
Lato lungo: 10,1 cm (4 in)
Altezza: 2,2 cm (7/8 in)
Peso (con calice avvitato): 386 g


Il calice
Come era prassi che ciascun Produttore denominasse la “celluloide” a modo suo (permanite, radite, coralite, pyroxylin…), così era consuetudine anche per i “calici” degli stilofori: nel caso specifico di Waterman’s, fu scelto il nome commerciale di sheath= anticamente “fodero”, poi genericamente “copertura simile ad un tubo”, ma anche “guaina aderente”. “Sheath” rimase valido per tutti i modelli di calici Waterman’s adottati uno di seguito all’altro (io ne ho contati almeno di 6 fogge diverse, in metallo ed ebanite, nella “golden age” fino alla WWII, più un settimo in celluloide tipico della Concessionaria francese), e in seguito resi disponibili anche contemporaneamente sul mercato.
Qui sotto un’immagine del <calice No.7> accanto al più conosciuto degli “sheath” Waterman, quello in metallo dorato (ma anche cromato o brunito).
7. W7DS. Waterman's No.7 black hard rubber sheath vs. gold plated metal sheath.jpg
Inutile dire che <il calice No.7> (per nulla documentato in rete a quanto ne so) in sé è davvero raro sul mercato: una delle ragioni, la principale forse, è senz’altro quella che “in the wild” dalla stragrande maggioranza dei collezionisti non verrebbe nemmeno riconosciuto come Waterman’s originale… ;)

L’idea, come abbiamo visto, prevedeva in buona sostanza di inserire sic et simpliciter la penna con il cappuccio calzato in… un altro cappuccio.
8. W7DS. Waterman's No.7 Emerald Ray posted.jpg

Per facilitare l’inserimento con l’ausilio di una mano sola tipico degli stilofori, il labbro del calice si presenta ben pronunciato e con un ampio invito concavo.
Questo secondo cappuccio, modellato in ebanite, richiama molto da vicino il cappuccio della <No.7> di cui riproduce due caratteristiche salienti affatto peculiari:
• la sommità “scalettata” sulla testina e
• la grande fascia decorativa in prossimità del labbro.
9. W7DS. Cap bands with milled decoration.jpg



Continua…
Ultima modifica di Musicus il giovedì 25 aprile 2024, 21:47, modificato 6 volte in totale.
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Messaggio da Musicus »

La "scalettatura" della testina (cap top) della penna ottiene un effetto streamlined (filante) non mediante l’inserimento di una cuspide o di un cono o attraverso una terminazione ogivale, bensì con l’impilamento di tre dischi concentrici di dimensioni decrescenti.
10. WN7. Cap top over- and lateral view.jpg
La testina è con tutta evidenza realizzata con l’apporto e la saldatura di una celluloide nera diversa da quella del resto della penna. Il calice della No.7 presenta la medesima struttura scalettata, ricavata però tutta direttamente nell’ebanite, e termina con il perno in ottone avvitabile allo snodo.
11. W7DS. Pen cap top and sheath top.jpg

Il secondo elemento distintivo dell’abbinamento penna-calice è l’ampia fascia laminata oro (gold filled), la cui caratteristica distintiva è una doppia zigrinatura (milling) simile a quella delle monete, che sulla penna decora oltre ai bordi del fascione anche la parte superiore del fermaglio e la paletta della levetta,
12. W7DS. Waterman's No.7 Emerald Ray closed.jpg
e viene riprodotta fedelmente sul calice dello stiloforo.
13. W7DS. Cap bands with milled decoration detail.jpg
Dal punto di vista stilistico, i dettagli della scalettatura della testina e della lavorazione del fascione dorato vengono così a legare indissolubilmente la Waterman’s No.7 e il suo calice dedicato.
Allo stesso modo, dal punto di vista tecnico sono da considerare esclusivi sia la lunghezza totale che l’apertura utile della bocca del calice, ma ancor di più l’anello di blocco della sezione ricavato a mezza altezza che impedisce al pennino di toccare il fondo.
14. W7DS. Inside No.7 sheath.jpg
Si noti anche il canale di aerazione/compensazione che è stato ricavato nell’ebanite, presente in forme leggermente differenti anche negli altri “sheath” della Casa.


La base
Nel Catalogo generale del 1933 che presenta per la prima volta la Waterman’s No.7 (nella sola livrea in celluloide nera, lo ricordiamo) si legge chiaramente che per assemblare lo stiloforo (desk set) dedicato alla stilografica si poteva scegliere qualsiasi base tra quelle offerte dalla Casa, ma era necessario montare il calice dedicato, denominato semplicemente “No.7 pen sheath”.
15. Waterman's Catalog 1933, p.8 (fonte PCA).jpg
Waterman's Catalog 1933, p.8 (fonte PCA)

Il modello di base che viene abbinato come esempio nel catalogo è il #507, ed è di forma ellissoidale (che nei cataloghi viene definita “ovale”): estremamente elegante nella livrea di marmo nero [italiano] con venature dorate (ma anche bianche, pur se in minima parte), recava una numerazione con il numero <7> al posto delle unità che non era certo casuale, considerato che <7> era il numero/nome della stilografica, dei pennini “colorati” disponibili, dei dollari americani che ci volevano per acquistarla…
Nel caso dell’esemplare da me rinvenuto, invece, il numero della base è il 501, che nella prima metà degli anni Trenta identificava un semplicissimo parallelepipedo rettangolo.
Tale numero di modello si trovava stampato/timbrato in nero sul feltro verde sottostante, con numeri di ca. 1,3 cm di altezza.
16. W7DS. Green felt with base model number and Waterman's green and gold stick.jpg
Oltre al numero identificativo (quando non sia sparito per sfregamento), sul feltro di protezione è sempre presente almeno un adesivo (sticker), a forma di fiore stilizzato nei colori verde e oro, che con poca spesa ha il doppio compito di
• dichiarare la Marca produttrice
PATENT
APPLIED FOR
Waterman’s
MADE IN U.S.A.

• e di indicare il punto esatto in cui intervenire nel caso fosse stato necessario operare sulla vite di serraggio dell’intero “snodo” metallico: sotto allo sticker si trova un dischetto di cartone pressato – a mo’ di tappo – rimosso facilmente il quale si può accedere dall’interno allo snodo avvitato (per sganciarlo o per serrarlo).

Il numero “timbrato” sul feltro identificava, tuttavia, soltanto “la forma” della base, non il materiale di cui era costituita (marmo nero italiano, onice verde del Brasile, etc.) né, tantomeno, la penna ed il calice abbinabile adatto a contenerla (che potevano essere di misure diverse: le più diffuse erano le misure #2 e la #7, dalla dimensione dei pennini che potevano essere introdotti): l’insieme della numerazione nei cataloghi veniva così determinato dalla somma dei due numeri
501 + 67 = 501/67
501 + 62 ½ = 501/62 ½
Già nel 1929 la forma di parallelepipedo col rettangolo principale <2½ x 4 inches> era individuata come #501 (ma la stessa identica forma con “statuetta” in bronzo dava origine al gruppo di numerazione 380/381/382), e la base #501 era realizzata solo in “onice”. In un catalogo di data imprecisata risulta disponibile però in aragonite, in onice e in marmo [nero]. Nel 1933, sempre marchiata 501, era disponibile solo in aragonite e in “brazilian green”. Niente cataloghi disponibili per il 1934 e il 1935 (anno di immissione sul mercato della <No.7 Emerald Ray> come quella in presentazione) ma per il 1936 la tipica forma a lingotto/mattone (salvaspazio!) si poteva avere in tutti i materiali sin qui citati più il marmo nero del Belgio, il che costrinse l’ufficio marketing della Waterman a ribattezzare il “marmo nero [italiano]” precedentemente citato con la definizione più raffinata e corretta di “marmo nero e oro” (Black and Gold Marble). Che è poi il materiale dello stiloforo in presentazione e lo stesso proposto al lancio della <Number Seven> come da Catalogo del 1933. :thumbup:


Conclusione
La distribuzione dei volumi della parte scrittoria dello stiloforo è calibratissima: il calice, la porzione di fusto scoperta e il cappuccio calzato sono tutti e tre lunghi ca. 6 cm, e il ritmo tra loro è scandito dalle due fasce dorate. Nessun altro stiloforo che non sia ricoperto d’oro o argento può vantare una luminosità pari a questa, a cui contribuiscono grandemente la levetta inscatolata e l’imponente fermaglio, anch’essi dorati.
17. W7DS. Desk Set 3.jpg
L’eleganza e l’opulenza del déco americano sono palpabili e l’insieme di penna e base forma un connubio volutamente aristocratico, con quel tocco di understatement (la base monacale!) proprio del vero lusso che non voglia indulgere alla mera ostentazione.
Non è quello che io mi aspetto da uno stiloforo, ossia un mondo stilografico “a parte”, ma vedrò di farmene una ragione… :P

18. W7DS. writing sample.jpg

Grazie per l’attenzione! :thumbup:

Giorgio
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Messaggio da Cex71 »

Grazie Giorgio per questa esauriente trattazione di un oggetto certamente particolare ma anche affascinante! :clap: :clap: :clap:
Cesare
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Pierre
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Messaggio da Pierre »

Notevole Giorgio ora potrai davvero sbizzarrirti! Grazie per le tante informazioni!
Pierre

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Messaggio da Musicus »

Pierre ha scritto: domenica 28 aprile 2024, 22:46 Notevole Giorgio ora potrai davvero sbizzarrirti! Grazie per le tante informazioni!
Più che altro devo stare attento a non..."imbizzarrirmi"! :lol: Ne ho ormai diverse decine... :roll:
Grazie per il commento, Pierre!
Cex71 ha scritto: domenica 28 aprile 2024, 21:56 Grazie Giorgio per questa esauriente trattazione di un oggetto certamente particolare ma anche affascinante!
Caro Cesare, ti ringrazio per il riscontro! :thumbup:


Gli stilofori, con le loro stilografiche "da tavolo" dedicate, sono una branca delle stilografiche che va di pari passo con quella della penne cosiddette "da tasca". Dopo l'introduzione dei primi esemplari nel 1925, la loro importanza per i Produttori è sempre stata notevolissima: se pensiamo che Parker in un suo catalogo del 1927 dedicava 13 pagine alle stilografiche e 10 pagine agli stilofori (!) e che ancora mezzo secolo dopo (1976) la Sheaffer pubblicava un catalogo di soli stilofori (di 20 pagine) autoproclamandosi il più grande produttore al mondo di "desk sets"...
I collezionisti possono arrivare ad apprezzarli o meno, ma per chi ama anche la scrittura, montando pennini identici alle penne da tasca, sono una grande realtà. Senza contare che, alla scrivania, uno stiloforo è più veloce anche di una Pilot Capless... 8-)

:wave:

Giorgio
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Messaggio da piccardi »

Ciao Giorgio,

complimenti per la notevolissima acquisizione, è davvero un pezzo notevole, parecchio raro ed in condizioni eccezionali, visto l'adesivo e la timbratura sul retro. Condivido con te comunque lo scarso gradimento estetico della soluzione stiloforo + penna ordinaria, questo comunque mi risulta assai più elegante (nella combinazione calice/penna) di quello della Duofold).

Simone
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Messaggio da lucre »

Ciao Giorgio,
volevo, sia pure tardivamente, complimentarmi con te per questo importante lavoro di documentazione su un argomento , quello dello stiloforo, talvolta un po' trascurato. Grazie delle informazioni e della piacevole lettura che ci hai offerto
Luigi
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piccardi ha scritto: lunedì 29 aprile 2024, 11:05 Ciao Giorgio,

complimenti per la notevolissima acquisizione, è davvero un pezzo notevole, parecchio raro ed in condizioni eccezionali, visto l'adesivo e la timbratura sul retro. Condivido con te comunque lo scarso gradimento estetico della soluzione stiloforo + penna ordinaria, questo comunque mi risulta assai più elegante (nella combinazione calice/penna) di quello della Duofold).

Simone
Grazie di cuore per l'apprezzamento, Simone! :thumbup:
Mi fa piacere che ci troviamo d'accordo sulla questione... ;)
lucre ha scritto: giovedì 2 maggio 2024, 19:36 Ciao Giorgio,
volevo, sia pure tardivamente, complimentarmi con te per questo importante lavoro di documentazione su un argomento , quello dello stiloforo, talvolta un po' trascurato. Grazie delle informazioni e della piacevole lettura che ci hai offerto
Luigi
È un vero piacere risentirti, caro Luigi!
Grazie per il riscontro, come sempre. :P
Come procede la tua Collezione?
A presto

Giorgio
serena900
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Messaggio da serena900 »

che bello ! un bel pezzo originale, non c'è che dire
e che si puo' usare tranquillamente, in ufficio

complimenti !
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Tribbo
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Messaggio da Tribbo »

E' sempre un grande piacere, oltre che un importante arricchimento culturale, leggere le tue splendide ed approfondite dissertazioni sulla storia delle penne stilografiche Musicus.. c'è da rimanere a bocca aperta!

Dire complimenti è veramente troppo poco di fronte ad un saggio così approfondito, c'è solo da imparare, come dal resto da tutti gli altri saggi che hai pubblicato e che ogni tanto rileggo per approfondimento
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serena900 ha scritto: venerdì 3 maggio 2024, 13:57 che bello ! un bel pezzo originale, non c'è che dire
e che si puo' usare tranquillamente, in ufficio
...
L'hanno progettato così proprio per questo! :D
Fuori di celia, Serena, ne ho molti (di stilofori) che invece assolvono a compiti diversi, come la "rappresentanza" (dello status, del censo o del gusto artistico del proprietario), la memoria del talento sportivo (essendo stati ricevuti come premio in gare), o anche il semplice "intrattenimento" (come spunto interessante per brevi conversazioni, anche scherzose).
Non dobbiamo dimenticare che la <Waterman’s No.7> era una penna "dedicata" dalla Casa agli "executive" e ai "manager", e come tale era meglio che rimanesse al centro dell'attenzione per le sue qualità intrinseche e non troppo per il "contorno"...
Grazie per il commento! :thumbup:

Tribbo ha scritto: venerdì 3 maggio 2024, 19:38 E' sempre un grande piacere, oltre che un importante arricchimento culturale, leggere le tue splendide ed approfondite dissertazioni sulla storia delle penne stilografiche Musicus.. c'è da rimanere a bocca aperta!

Dire complimenti è veramente troppo poco di fronte ad un saggio così approfondito, c'è solo da imparare, come dal resto da tutti gli altri saggi che hai pubblicato e che ogni tanto rileggo per approfondimento
Ciao, Paolo, ti ringrazio per le belle parole che lusingano la mia vanità facendomi un gran piacere! :D

Un caro saluto :thumbup:

Giorgio
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