Cominciamo come sempre dalla descrizione esteriore: si tratta di una penna in celluloide, la famosa “arco”, in questo caso verde su base nera. Come ogni celluloide arco che si rispetti, dà il meglio di sé dal vivo, rigirata sotto una fonte di luce, con le venature che sembrano quasi apparire e scomparire con un effetto olografico. Il cappuccio inizia con una sommità a cuspide, poi poco più in basso troviamo una clip squadrata in metallo dorato, che termina con una punta sfaccettata circa a metà del cappuccio. Verso il labbro sono presenti due anellini, anch'essi in metallo dorato, un primo più spesso e un secondo più sottile. Quest'ultimo è forse il dettaglio che più mi ha incuriosito, perché dopo aver fatto una ricerca sul Wiki del Forum tutte le foto mostrano esemplari con l'altro segno distintivo di Radius oltre la clip, ovvero la vera traforata in stile art dèco, mentre in quello in mio possesso sono presenti solo questi due anellini. Chiedo lumi ai più esperti di me su questo. Passando invece al corpo, esso si sviluppa con una leggera entasi verso il centro e termina con un fondello sempre a cuspide come la sommità del cappuccio. Sul corpo troviamo l'incisione: “Radius Superior reg. n° 3246”. Le dimensioni sono circa 135 mm da chiusa, circa 122 mm da aperta. Il peso è di 19 g con cappuccio e 12 senza.
Una volta svitato il cappuccio troviamo una sezione in celluloide nera, che prosegue perfettamente cilindrica e termina con un piccolo svaso, e il pennino. Si tratta di un pennino in oro 14 carati, di dimensioni importanti. Esso presenta un piccolo foro di sfiato a forma di cuore e, sotto di esso, le incisioni “Radius superior” su due righe, il titolo dell'oro espresso in millesimi (585) e il numero del pennino, in questo caso 6 (come è ben noto, le numerazioni per le dimensioni dei pennini non seguivano affatto degli standard, ma variavano per ogni produttore. In questo caso mi pare che il 6 dovesse essere una dimensione piuttosto importante). Al di sotto del pennino si trova un alimentatore in ebanite, con lamelle di compensazione laterali e il centro liscio.
Il sistema di caricamento è a pulsante di fondo: svitando il fondello si accede ad un pulsante (da cui il nome del sistema) che se schiacciato fa flettere una barretta in metallo interna (la cosiddetta barra a J), la quale a sua volta comprime un sacchetto in materiale elastico che quando rilasciato si espande nuovamente risucchiando l'inchiostro attraverso pennino e alimentatore. Si tratta di un sistema facile da usare, si immerge il pennino fino all'imbocco della sezione, si preme il pulsante, lo si rilascia e si aspetta qualche secondo per dare tempo al sacchetto di espandersi e risucchiare l'inchiostro. Come ho scritto in più occasioni, non amo i sistemi di caricamento che usano sacchetti elastici per vari motivi, tra cui la scarsa capacità di inchiostro e la difficile (per me) manutenzione, però quello di questo esemplare funziona egregiamente e non mi ha mai dato problemi.
Veniamo dunque alla parte sulle prestazioni di scrittura: il pennino non è solo bello da vedere, ma anche una goduria da usare, è un fine semi-flessibile, e in questo mi pare che dia ragione alla legge non scritta secondo cui i pennini in oro del passato sarebbero tendenzialmente più rigidi man mano che aumentano di dimensioni. L'alimentatore in ebanite fornisce un flusso sempre costante e abbondante, com'è tipico delle “vecchiette” di quegli anni. Vi lascio come al solito una prova di scrittura.
In conclusione, si tratta di una penna veramente bella, che mostra le vette cui era arrivata la produzione italiana in quegli anni. Mi piacerebbe solo riuscire a datarla, almeno il decennio: anni Quaranta? Anni Cinquanta? (se qualcuno sapesse aiutarmi con la datazione, gli/le sarei molto grato) In ogni caso, sono felice di essere riuscito a riportare dal suolo nipponico un capolavoro di artigianato italiano, come si dice: ’mo ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ’o nuost’
