Sono diversi i gusti, differiscono le priorità, l'uso che facciamo dei nostri strumenti di (da?) scrittura e la concezione stessa che ne abbiamo a livello ontologico (appunto, strumenti? Oggetti da esporre? etc etc...).
Quello su cui mi interrogo adesso è un'altra questione, venuta fuori allorchè un negoziante, rivolgendosi ad un altro cliente (con me presente) e parlando di me, forse per lusingarmi, strizzando l'occhio e con espressione di simulata riverenza ha detto "eh sa, lui è un collezionista". Lì per lì non ci ho fatto particolarmente caso, ma mentre tornavo a casa c'era qualcosa che non andava, una sensazione depositata sul fondale del cervello come polvere di caffè che si ammucchia sul fondo del bicchiere non bevuto.
Era forse il sole, che mi picchiava in modo violentemente zenitale sulla chiorba (in modo tale da ribollire il caffè di cui sopra)? Era l'impepata di cozze della sera prima che finalmente gridava vendetta in quel suo linguaggio imperdonabilmente peristaltico? Mi ero dimenticato le chiavi di casa e sarei forse stato costretto ad una forzata permanenza dalla vicina di casa ninfomane?
No, ricollocando i miei pensieri mi sono accorto che non era nulla di tutto ciò. Il malessere era più intimo, profondo e filosofico e la notte stessa mi ha fatto svegliare in preda all'ansia col pensiero lampeggiante al neon fra le sinapsi "Sono un collezionista?".
Dai Andrea, mi sono detto, hai affrontato questioni più gravi, dubbi esistenziali ben più impegnativi: se punto il laser contro un piccione esplode(il piccione)? Posso toccarmi il naso con la lingua? Posso vivere di "gratta&vinci"?
Dopo la (doverosissima) premessa, mi chiedo: cosa ci rende sussumibili sotto la categoria "collezionista"?
Io mi sono risposto più o meno in questo modo.
Secondo me il collezionismo (che il mio vecchio manuale di criminologia definiva con parole grondanti alterigia e condanna - ahhh caro Mantovani - come ipertrofia patologica del naturale istinto di possesso/proprietà dell'uomo verso le cose) nel settore delle stilografiche, con le sue ovviamente molteplici e diverse declinazioni, si può rilevare secondo alcuni indici che vado a provare a enunciare a titolo meramente esemplificativo:
-possedere tutti i colori di un determinato modello. Che so, tutti i colori delle Wallstreet o delle Safari.
-possedere almeno una penna per marca
-possedere esemplari rappresentativi di tutto l'orbe terracqueo. Che so, un po' di giapponesi, italiane, tedesche etc...
-possedere penne di tutti gli anni, in una sorta di rappresentazione sinusoidale dei corsi e ricorsi stilistici e meccanici.
-possedere penne rappresentative di tutti i sistemi di caricamento
-variegati mix di tutti gli esempi testè scritti.
Insomma, credo che il "collezionista" vada un po' oltre la ragione e la mera soddisfazione della necessità di un'immediata immersione nel bello. Il collezionista per una minima parte sta bene per ciò che ha, per il resto soffre per quello che non ha (e parte per avventurose maratone fisico-telematiche con relative soddisfazioni). E' anche vero che il progresso di tutto ciò che oggi diamo per scontato è dovuto a persone insoddisfatte e continuamente tendenti a ciò che non avevano...
Credo tuttavia che una parte di "collezionismo" sia insita in un po' tutti noi, stilografi o meno. Non posso negare una certa perversa soddisfazione e pace dei sensi mentre rigiro fra le mani una penna di una particolare celluloide che mi iponitizza e cattura. La penna è tappata, in quel momento non è uno strumento di scrittura. E' uno strumento di piacere e soddisfazione per tanti motivi: l'apprezzamento di un oggetto che in altre occasioni ho definito "sospeso nel tempo", che coccola (ho davvero scritto "coccola"?) tutti i sensi, nessuno escluso (si, sono uno sniffatore di celluloide), al di là del suo costo o del suo prezzo, elementi che prescindono ed esulano da quello che poi è il valore.
Sono oggetti che trasudano umanità e ingegno da ogni foro (per l'aria, sul cappuccio); sono monumenti a quel sottilissimo confine che esiste tra l'uomo e l'armadillo.
Un po' come il bidet.
Con la differenza che un bidet pro capite (rectius, pro cunnum
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Insomma il collezionista è l'antitesi dell'esteta edonista epicureo che compra le penne solo se incastonate di diamanti artificiali appositamente ricavati dalla combustione di esseri umani (per aumentare il valore, preferibilmente collezionisti), che alla pressione di un tasto (in oro 25 carati) fa fuoriuscire una fontana che zampilla acqua Ferrarelle (l'edizione limitata zampilla Vichy) nella quale nuota la nazionale ucraina di lap dance.
Allora, cosa sono io? Escludendo l'edonista di cui sopra per meri motivi economici, sono un collezionista?
Ormai sta sorgendo il sole, gli uccellini cinguettano mentre le prime macchine cominciano a mettere in moto gli assonnati motori. Un rassicurante coro di umile ma sorridente banalità mi tranquillizza: non sei un collezionista.
Sposto lo sguardo sulla scrivania, ove due teche a due piani ciascuna ostentano arrogantemente alcune decine di esemplari di penne attraverso un vetro tenuto più lucido di quello delle mie finestre.
...o si?