Allora, su questo argomento mi sento pronta ad esprimere la mia opinione perché ho dei ricordi distinti del periodo alle Elementari nel quale ho imparato a scrivere in corsivo, non solo perché cronologicamente forse un po' più vicino rispetto a quanto non sia per alcuni utenti, ma in quanto legato a una specie di trauma che - e ne sono sicura - ha avuto delle conseguenze a lungo termine per almeno un mio amico (che ho da qualche anno, purtroppo, perso di vista). Siccome sono in coda in cancelleria e ho dinanzi a me una fila di almeno cinquanta numeri, mi lancerò quindi in questa piccola narrazione
La mia prima maestra elementare non fu la mia insegnante definitiva, che purtroppo proprio a due settimane neanche dall'inizio della scuola dovette mettersi in malattia per un male gravissimo per quasi tutto l'anno scolastico. Venne sostituita da una tizia ultrasettantenne reperita sul momento, ormai prossima al pensionamento, che non si era mai ripresa dal tramonto dei tempi di pennino e calamaio, né dall'avvento di teorie educative più evolute delle sberle.
Passati i primi mesi di aste a matita, quindi, ci costrinse tutti a scrivere con la silografica. Visto che questo periodo di passaggio coincideva con il mio compleanno, mio nonno pensò bene di regalarmi una stilo in argento leggera con il mio nome inciso sul fermaglio. Il primo giorno di ritorno dalle vacanze di Natale, fui sottoposta a un'umiliazione pubblica che ricordo ancora, in quanto la vecchia megera al vedere quella penna fu colta da un raptus e urlando in modo tale da far accorrere persino la bidella, mi accusò di "
snobismo borghese" e di altre ed assortite nefandezze, circa le quali io ovviamente non capivo un'acca (se non che erano cose molto brutte, evidentemente). La sfuriata mi terrorizzò talmente che non usai mai più quella penna, né la volli rivedere: la cosa fu così subitanea che non avevo nemmeno fatto a tempo a inserire la cartuccia, per cui mio nonno cambio il fermaglio e la rivendette. Ricordo anche che, per la prima e ultima volta per l'intero periodo scolastico dell'obbligo, qualcuno prese le mie difese, in quanto dopo il fatto mio nonno si presentò a prendermi a scuola appositamente per parlare con la maestra. Fu un fatto particolare, perché - tanto per dimostrare di non avere problemi di snobismo borghese - si presentò con la medaglia al valore vinta per la Resistenza appuntata alla giacca. Assicuro che mio nonno arrabbiato era qualcosa di piuttosto spaventoso a vedersi, essendo un individuo enorme che per di più "
grondava cazzimma a secchioni" (per citare il secondo protagonista di questo aneddoto, che comparirà tra poco): vi dico solo che era in grado di farsi obbedire dai suoi cani da caccia solo guardandoli in un certo modo, per cui l'insegnante non osò più fare la prepotente con me.
A rendere le cose ancora peggiori per tutti i bambini della mia classe, inoltre, fu che il mio compagno di banco Niccolò (autore della definizione di cui sopra) era mancino: per quanto si sforzasse, l'accoppiata "
bambino delle elementari+stilografica+mancinismo" rendeva i suoi quaderni un incubo di macchie blu stazzonate. A peggiorare le cose, come si è potuto evincere dalla colorita espressione con cui definì mio nonno, Niccolò era di origini casertane: la cosa già di suo lo faceva vedere di cattivissimo occhio dalla Squallida Veneroautarchica (l'unico bambino trattato peggio nella mia classe era un ragazzino di colore, che aveva il padre bianco e la madre ivoriana). Il mancinismo fu la goccia che fece traboccare il vaso dello squilibrio mentale della maestra: in un delirio degno di "Cuore" (anche se in questo romanzo il maestro Perboni era una persona nettamente migliore), invece di autorizzare Niccolò a usare la biro, o quantomeno un inchiostro ad asciugatura rapida invece del Pelikan Royal Blue, l'ignobile aviopriva cercò di costringerlo a usare la destra. Prima con urla, strepiti, note e minacce, poi legandogli l'avambraccio sinistro al banco.
Ora: erano tempi, quelli, in cui la difesa dell'infante dagli abusi - che, spesso, oggi sono semplici tentativi di imporre un minimo di disciplina a un branco di furie - era una cosa eccezionale, quando non assurda. I maestri ti picchiavano, ed era normale: se provavi a tornare a casa a lamentarti, i tuoi ti davano il resto.
Per cui Niccolò dovette rassegnarsi a cercare di arrangiarsi con la destra, finché in maggio finalmente tornò la maestra di ruolo che, come la cavalleria, ci salvò tutti quanti da un destino infausto, ci impose di usare la biro - anche perché nel frattempo avevamo iniziato a usare la stilo per farci simpatici scherzi come punzecchiarci a vicenda nelle chiappe, e da lì alla perdita dell'occhio il passo è breve.
Ora: io non mi sono mai abituata ad avere una grafia decente con la biro, perché evidentemente l'imprinting che avevo ricevuto nei primi mesi di alfabetizzazione era ineludibile. Ho avuto una grafia obbrobriosa finché non mi hanno regalato l'Hastil - al liceo.
Niccolò non riuscì mai più a scrivere con la sinistra... ma neanche con la destra.
Sviluppò un problema, e divenne un dislessico certificato.
Questo per dire che i metodi educativi incentrati più sulla forma che sul contenuto, secondo me, non giovano a nessuno.